Lezioni di storia (queer): L'amore tra fuoco e ghiaccio di Rudolf Nureyev ed Erik Bruhn
Un amore che ha cambiato per sempre la danza e la vita di due leggende
Una decina d’anni fa, ho lavorato a una serie di documentari sulle grandi storie d’amore del Novecento, legami che non solo hanno definito carriere artistiche, ma che hanno anche sfidato le convenzioni del loro tempo. Tra queste, ce n’è una che mi è rimasta particolarmente nel cuore: la relazione tra Rudolf Nureyev ed Erik Bruhn.
Una storia d’amore che non ha solo rivoluzionato il mondo della danza (per essere più tecnici possibili, il mondo del balletto classico), ma ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura e nelle vite di chi li ha conosciuti.
Da una parte c’era Erik Bruhn, nato Belton Evers, aveva iniziato la sua formazione in Danimarca alla scuola del Royal Danish Ballet. A soli diciotto anni, già si esibiva come solista all'Opera di Copenaghen, padroneggiando i ruoli classici con una tecnica che lo avrebbe reso il simbolo del danseur noble. Nel 1955, interpretando Albrecht in Giselle accanto ad Alicia Markova, Bruhn si consacrò di fatto come uno dei più grandi ballerini della sua generazione. Ma dietro quella perfezione c’era un uomo introverso, controllato fino al limite, quasi glaciale.
Dall’altra parte, in netto contrasto con lui, c’era Rudolf Nureyev, un ribelle venuto dall'Unione Sovietica, con la sua passione travolgente e la sua sfacciataggine, che avrebbe rotto ogni barriera artistica e personale. Nureyev, dopo aver visto una registrazione di Bruhn in segreto, non pensava ad altro se non incontrarlo.
E alla fine ci riesce qualche tempo dopo, nel 1961, l’anno in cui il destino fece il suo corso grazie a Maria Tallchief, una ballerina del Ballets Russes… amante di entrambi. Tallchief, moglie del grande coreografo George Balanchine, facilitò l'incontro tra i due titani, dando inizio a una storia d’amore complessa, in cui la tensione e l’attrazione reciproca diventarono sia fonte di ispirazione che di dolore.
Durante una delle interviste realizzate per il documentario (non è un mistero, è “Artists in Love”, una serie in dieci puntate prodotta per Sky Arts Uk, Sky Arte HD e Sky Arts Deutschland - recuperatela se potete su Now, io la trovo meravigliosa), ho avuto l’onore di fare quattro chiacchiere con la straordinaria e indimenticabile Elisabetta Terabust, etoile del balletto classico venuta a mancare nel 2018, che conosceva molto bene entrambi. Elisabetta mi raccontò proprio di questo dualismo che li caratterizzava: "Erik era controllato, glaciale, mentre Rudolf era una forza della natura, magnetico e pericoloso." Questo contrasto tra loro non si limitava al palcoscenico: era anche il segreto della loro relazione, un equilibrio fragile tra passione e controllo.
L'amore tra Erik e Rudolf fu tormentato. Bruhn, più discreto e riservato, accettò gli impulsi e i tradimenti di Nureyev per amore, ma il peso della gelosia e dell’incompatibilità cominciò a farsi sentire. Nureyev era incapace di rimanere legato a una sola persona; la sua natura ribelle e il desiderio di esplorare la vita, sia artisticamente che sessualmente, lo portarono a vivere numerose relazioni, tra le quali sicuramente la più famosa e chiacchierata - anche se mai realm
ente confermata da entrambi - è quella con Freddie Mercury, da lui chiamato affettuosamente Eddie, conosciuto durante un evento in Spagna e che si dice sia stata di lunga durata.
Tuttavia, nonostante la complessità del loro rapporto, Erik e Rudolf continuarono a essere legati per anni, sia professionalmente che emotivamente. I loro duetti sul palcoscenico incantarono il pubblico di tutto il mondo: Bruhn, con il suo stile classico, e Nureyev, con la sua energia selvaggia, crearono un'alchimia che superava ogni descrizione. Tuttavia, questo amore intenso lasciò cicatrici profonde. Bruhn, a causa dello stress accumulato e di una perforazione gastrica, fu costretto a ritirarsi dalle scene nel 1971. Passò poi alla direzione del Balletto dell'Opera Svedese e del National Ballet of Canada, trovando un nuovo ruolo nella danza fino alla sua morte nel 1986.
Maria Tallchief, che inizialmente aveva favorito il loro incontro, sapeva bene che avrebbe perso entrambi gli uomini della sua vita. Eppure, accettò con grazia il destino, lasciando che i due si travolgessero a vicenda in una spirale di passione e sofferenza. La sua presenza, discreta ma fondamentale, illuminava la complessità delle dinamiche tra Bruhn e Nureyev.
Nureyev, d'altra parte, non si fermò mai. Anche quando l'AIDS cominciò a indebolire il suo corpo, continuò a danzare, spingendosi oltre i limiti fisici. Come Bruhn prima di lui, Nureyev non accettò la sconfitta, trasformando il suo stesso dolore in arte. Con lui, il ballerino maschio non era più solo il supporto della ballerina, ma il protagonista assoluto, una figura centrale capace di dominare la scena. La sua presenza, sempre più fragile negli ultimi anni, divenne una testimonianza della sua insaziabile fame di vita.
Nel 1986, quando Erik Bruhn era ormai gravemente malato di cancro, Nureyev si recò a Toronto per dirgli addio. Sebbene i due non potessero più comunicare come un tempo, il legame tra loro non si era mai spezzato. In un ultimo gesto di amore e rispetto, Nureyev abbracciò Bruhn sul letto, tenendolo stretto tra le braccia. Era la fine di un amore, ma anche la celebrazione di una vita trascorsa insieme, sul palcoscenico e fuori.
Nonostante i tempi in cui vissero, un'epoca in cui le relazioni tra due uomini dovevano rimanere nell'ombra, l'amore tra Nureyev e Bruhn brillò come un faro di luce. Il loro legame, così complesso e tormentato, ha lasciato un’eredità non solo nella danza, ma anche nella vita di tutti noi. Hanno dimostrato che l’arte e l’amore possono fondersi, cambiando per sempre non solo i protagonisti, ma anche chi li osserva e chi, come oggi, li ricorda.